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I storia de sti agn

In un’affollatissima chiesa di San Fedele si è tenuta sabato 9 marzo scorso la presentazione del libro “I storia de sti agn” realizzato dalla Associazione San Fedele.
Esprimiamo il nostro ringraziamento al parroco don Umberto per l’ospitalità: ci è sembrato molto significativo poter proporre questo testo nella nostra chiesa parrocchiale, che è, certo, la “casa del Signore”, ma è ad un tempo la casa della nostra comunità, dove da secoli i nostri avi hanno pregato, hanno ricevuto i sacramenti, hanno santificato l’amore coniugale, hanno salutato i loro morti.

Alfonsina Pizzatti ha presentato l’organizzazione dell’incontro, rimarcando il valore sociale ed etico del progetto, realizzato con impegno, entusiasmo e passione, da un gruppo di lavoro che è riuscito a coinvolgere tutte le famiglie del paese e tanti che al paese sono legati per parentela e affetto. Ha definito il libro, che già nel titolo “I storia” rimanda al passato, alla memoria come strumento di conservazione e trasmissione di tradizioni e identità, “una vera biografia del paese”, quindi un documento prezioso della storia della nostra comunità.

Franca Prandi, presidente della Associazione San Fedele, ha sottolineato l’impegno del sodalizio nel continuare un cammino, che dura ormai dal 2010, fatto di valorizzazione del passato per stimolare la consapevolezza nel presente e progettualità nel futuro. Un libro, ha sottolineato la Presidente, che può essere visto come uno scrigno di memorie a cui attingere a piacere, anche aprendolo a caso, senza necessariamente esigere un impegno continuativo e lineare di lettura.

Mariangela Cederna, coordinatrice della “Commissione libro”, ha spiegato il senso di questa opera e la modalità di lavoro. Tutti sono stati invitati a fornire testimonianza e le persone hanno risposto con gioia, serietà, entusiasmo, consapevoli di fornire tasselli individuali che hanno composto un grande affresco collettivo, un quadro unitario, una tela in cui si sono riannodati fili di tante storie raccontate a volte con allegria, a volte con dolore, con orgoglio, con nostalgia, con commozione, con simpatica ilarità, con sconfinata ammirazione per il decoro di una vita semplice e laboriosa del nostro comune passato.
Così è nato questo testo scritto da 234 persone di ogni età: da Andreina Conforto (classe 1921) che vive in Val d’Intelvi e Fida Lina Piasini (classe 1922) che risiede nella lontana Argentina, fino ai piccoli Gioele Piasini (classe 2015) e Agnese Piasini (classe 2016).
Purtroppo qualcuno di loro in questi due anni di lavoro ci ha lasciato: Liliana Cenini, Bruno Magini, Teresina Molinari, Valeria Gianoncelli, Lina Baldini, Maria Pia Gugiatti. Sono stati ricordati con profonda gratitudine, nella consapevolezza che insieme agli affetti, la parola trattiene la vita oltre la morte.
La coordinatrice ha ricordato il nome di tutti i collaboratori, chiarendo che le testimonianze documentate in questo volume non registrano la realtà in sé, ma la realtà percepita, tramandata, rielaborata e che quindi le eventuali discrepanze non sono un limite, ma una ricchezza: sono frutto di approcci diversi allo stesso tema, nascono da ricordi trasmessi oralmente in famiglia, selezionati e rielaborati. Questo lavoro collettivo ha dimostrato che la nostra storia noi la possiamo di-menticare, allontanare dalla mente, ma non s-cordare, non la lasciamo uscire dal cuore!

Michele Prandi, docente di linguistica e cittadino onorario di Poggiridenti, dove è nato e cresciuto, ha fornito nel libro un importante contributo dedicato ai det che distinguono i diversi rami delle famiglie, chiamati scutum o scutüm in altri dialetti, ai loro rapporti con i cognomi, i nomi e i soprannomi personali, e alla loro origine nella creatività dei parlanti. Durante la presentazione del volume ha ribadito la sua gioia e gratitudine per aver potuto partecipare a tale opera che considera un monumento al dialetto da lui parlato da bambino come prima lingua, un dialetto che vanta già una raccolta di toponimi curata da Franca Prandi con un profilo linguistico e storico di Pendolasco/Poggiridenti. Leggendolo, a suo parere, si respira autenticità, come aria pura in quota. Il criterio che guida le narrazioni, promosso dalla regia discreta ma sicura dei curatori, è stato a suo avviso quello di salvare squarci di vita vera. I ricordi personali hanno valore perché esemplari di stili di vita condivisi in un mondo segnato dal lavoro gramo e da una vita familiare mai priva di sacrifici e durezze. Gli inciampi delle persone comuni negli eventi della storia restituiscono scorci precisi di vicende della “grande storia” e del mondo economico, senza mai cadere nel rischio di una sterile nostalgia e di un folklore strapaesano.

Secondo il sociologo Aldo Bonomi, questo libro è un lavoro prezioso: da un lato racconta la “coscienza di luogo” e lo fa in modo profondo, poetico. Documenta in maniera dettagliata i cerchi che dalla piccola comunità si ampliano progressivamente verso la società, dalla famiglia alla scuola al lavoro (sia locale sia a reti medie e lunghe e l’emigrazione), dalla religiosità alla vita sociale e sanitaria alle guerre che hanno segnato la nostra storia dall’Ottocento alla prima metà del Novecento. È anche, un libro centrato sulla identità, per questo fornisce spunti su cui ragionare, sia sul versante dello “spazio di posizione” (io di Poggi dove mi colloco) sia sullo “spazio di rappresentazione”, considerando che l’identità non sta nel soggetto, ma sta nella relazione. Dunque, a suo giudizio, un ottimo lavoro che documenta il passato e al tempo stesso stimola domande.
La presentazione del libro si è conclusa con un intervento, volutamente in dialetto, per sottolineare l’importanza che esso aveva un tempo come mezzo di comunicazione tra la gente del paese e quindi da salvare insieme alle testimonianze scritte. Sono intervenuti Guglielmo Piasini, che ha accennato a qualche suo aneddoto presente nel libro, e Felice Piasini che, soddisfatto per la discreta presenza nel volume di espressioni e modi di dire dialettali, ha raccontato una curiosa storiella inedita intitolata “A vèspul v’a Tresìf”.
Perché il volume termina con alcune pagine bianche? Perché ogni lettore potrà aggiungere ricordi nuovi, registrare pensieri, annotare riflessioni… è un invito a “personalizzare” il libro.